In breve

Nota a margine della sentenza , Cass. Pen., Sez. V, 3.12.2020., n. 34508

Con la decisione in commento la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale e, in particolare, sui requisiti oggettivi minimi in base ai quali è ascrivibile ad un soggetto la qualifica di “amministratore di fatto“, qualifica che, ad avviso dei Giudici di legittimità, come diffusamente si esporrà nel prosieguo, può essere desunta da “elementi logici – quali la successione nella carica a carattere meramente fittizio – e rappresentativi – quali la disponibilità e la consegna delle scritture contabili al curatore fallimentare”.

Questa in sintesi la vicenda processuale

La Corte di Appello di Perugia confermava l’affermazione di responsabilità di un soggetto imputato dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale, per avere lo stesso, in qualità di amministratore unico di una s.p.a., successivamente fallita, distratto la cassa contante ed eseguito pagamenti preferenziali in favore della società controllante.

L’imputato ricorreva per Cassazione deducendo, tra l’altro, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione tanto all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale quanto al ruolo di amministratore di fatto attribuito allo stesso.

Il ricorrente lamentava, infatti, che l’asserita condotta di distrazione della cassa societaria non fosse a lui imputabile in quanto temporalmente verificatasi in un periodo in cui lo stesso non era amministratore di diritto.

Percorrendo l’iter motivazionale della sentenza, i Giudici affermano che, oltre a proporre una non consentita rilettura degli elementi di fatto, le doglianze sono manifestamente infondate, in quanto “sollecitano, ictu oculi, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità“; infatti, pur essendo riferite a vizi formalmente riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge “sono in realtà dirette a richiedere [alla Corte] un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale”. In particolare, “il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica […], ma una decisione erronea in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata”.

La Corte afferma, inoltre che dalla ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito era emerso come la Società fosse stata amministrata dall’imputato sino all’inizio del novembre 2009 e che la cassa contante, che alla fine del 2009 presentava un valore di euro 141.536, non fosse stata rinvenuta dal Curatore Fallimentare in sede di inventario.

Nel confermare le sentenze di merito, i Giudici di legittimità, sottolineano inoltre come l’assunzione formale della carica gestoria da parte dell’amministratore subentrato all’imputato fosse da ritenersi fittizia “in quanto relativa ad una società ormai inattiva e priva di ricchezza patrimoniale“. Conclusione quest’ultima avvalorata, ad avviso della Corte, anche dalla circostanza che era stato l’amministratore uscente a consegnare materialmente i libri e le scritture contabili al Curatore Fallimentare.

In sostanza, ad avviso della Suprema Corte sulla scorta di quanto già affermato dalle sentenze di merito, era pacificamente emerso come l’imputato, anche in seguito alla dismissione della carica formale di amministratore unico della fallita, “ha continuato ad esercitare di fatto i poteri di amministrazione“, essendo il ruolo del successivo amministratore meramente fittizio.

La pronuncia in commento si inserisce, dunque, nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale più rigido e fortemente ancorato alla valutazione, da effettuarsi – sotto i profili fattuali e iure – caso per caso, per la verifica della concreta e reale operatività dei soggetti che gestiscono la società, amministratori formalmente in carica e/o meri manager fittizi, di comodo.