Alla fine l’effetto è quello di una depenalizzazione. Con effetti retroattivi. A metterlo nero su bianco è la Cassazione con la sentenza n. 442 della sesta sezione che, per la prima volta, si misura in maniera compiuta con gli effetti della riforma dell’abuso d’ufficio in vigore da pochi mesi. Per la Corte infatti, che proscioglie perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato il commissario straordinario e direttore generale di una Asl, accusato di avere abusato del proprio potere dequalificando un servizio sanitario da struttura complessa a struttura semplice, «non può seriamente dubitarsi che si realizzi una parziale abolitio criminis in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma».

Effetto riforma

La nuova fattispecie penale di uno dei più “classici” reati commessi dai pubblici amministratori, vede ristretta l’area del penalmente rilevante e pone, sottolinea la sentenza, «serie questioni di diritto intertemporale». Il passaggio tra vecchia e nuova versione dell’articolo 323 del Codice penale investe in maniera determinante fatti realizzati attraverso la violazione di norme di legge o equivalenti, dalle quali non si possono ricavare regole generali o astratte ma che, sopratutto, si sono verificati nell’esercizio di potere discrezionale.

La condotta punibile

In altre parole, ricorda la sentenza, oggi la condotta sanzionabile sul piano penale a carico del pubblico funzionario deve essere caratterizzata dalla violazione di regole cogenti per l’azione amministrativa, che da una parte sono fissate dalla legge, «non rilevano dunque i regolamenti nè eventuali fonti subprimarie o secondarie», e dall’altra siano disegnate in termini precisi e puntuali. Di qui la limitazione della responsabilità penale quando le regole di condotta gli permettono di agire nel rispetto di margini di discrezionalità amministrativa, «intesa, questa, nel suo nucleo essenziale, come autonoma scelta di merito, effettuata all’esito di una ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici e quelli privati, dell’interesse primario pubblico da perseguire in concreto».

La discrezionalità

Tuttavia, avverte ancora la Corte, l’esercizio del potere discrezionale non può sconfinare nella «distorsione funzionale dei fini pubblici», quando in concreto si perseguono obiettivi in oggettivo contrasto con quelli per i quali la discrezionalità è attribuita. Come pure, puntualizza la pronuncia, va ricordato che continua a essere penalmente sanzionato il mancato rispetto dell’obbligo di astensione in conflitto di interessi.

Area penale limitata

In conclusione, chiarisce la Cassazione, la nuova norma ha «un ambito applicativo ben più ristretto rispetto a quello definito con la previgente definizione della modalità della condotta punibile». A venire sottratto al giudice penale è infatti sia la valutazione sulla mancata osservazione di principi generali, norme di legge o equivalenti sia il sindacato sul cattivo utilizzo della discrezionalità amministrativa.

A restare invariata è la ratio dell’articolo 323 hce tuttora continua a tutelare i valori costituzionali del buona andamento e imparzialità della pubblica amministraizone.