Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 133 depositata oggi, dichiarando illegittimo, sotto questo aspetto, l’articolo 263, terzo comma, del codice civile
Non è ragionevole che, nei casi diversi dall’impotenza, il termine annuale per impugnare il riconoscimento del figlio decorra, per l’autore del riconoscimento, dal momento dell’annotazione dell’atto invece che dalla scoperta di non essere il padre biologico. È quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 133 depositata oggi (redattrice Emanuela Navarretta), dichiarando illegittimo l’articolo 263, terzo comma, del codice civile nella parte in cui non prevede che il termine annuale per impugnare il riconoscimento decorra, per l’autore del riconoscimento, dal giorno in cui abbia avuto conoscenza della non paternità.
La decisione della Corte costituzionale
In particolare, la Corte ha ravvisato un’irragionevole disparità di trattamento tra chi può provare la propria impotenza e chi, pur non essendo affetto da tale patologia, abbia ugualmente scoperto la non veridicità della paternità biologica dopo un anno dall’annotazione del riconoscimento. Quest’ultimo si vedrebbe inibito l’accesso a un giudizio nel quale l’interesse alla verità biologica viene, comunque, sempre bilanciato in concreto dal giudice con l’interesse del figlio.
La Corte ha ritenuto, inoltre, irragionevole che la norma censurata rendesse più difficile al padre non coniugato sottrarsi alla decadenza del termine annuale per l’impugnazione del riconoscimento, rispetto a quanto consentito al padre coniugato dall’articolo 244 del codice civile, relativamente alla decadenza del termine annuale per l’azione di disconoscimento della paternità.
La stessa sentenza ha dichiarato, viceversa, non fondata – in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, relativamente all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – la questione di legittimità costituzionale sollevata sullo stesso articolo 263, terzo comma, del codice civile nella parte in cui prevede che l’azione di impugnazione del riconoscimento debba essere proposta nel termine di cinque anni dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita. La Corte ha infatti ritenuto che il decorso di un tempo così lungo radichi il legame familiare e, dunque, che la prevalenza dell’interesse alla stabilità dello stato di figlio realizzi un bilanciamento non sproporzionato fra gli interessi in conflitto.
In conclusione la Corte costituzionale:
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, codice civile, come modificato dall’art. 28, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), nella parte in cui non prevede che, per l’autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l’azione di impugnazione decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 154 del 2013, nella parte in cui non prevede che, per l’autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l’azione di impugnazione, decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 154 del 2013, nella parte in cui prevede che «l’azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall’annotazione del riconoscimento», sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza indicata in epigrafe.